martedì 15 aprile 2008

In un sacco di juta verde orlato d'oro

Nei giorni dell'ira
coperti di polvere
anche la pioggia lacrimava sangue.
La giovane vedetta
accanto al guado gelido
tremava
di freddo misto a rabbia,
fucile al braccio
e sguardo perso
di chi se ne sta lì per caso.
Sparpaglia l'innocenza e i desideri,
le ataviche paure e le carezze perse
in un sacco di juta verde orlato d'oro.
Il tuono copre un gemito scomposto,
riflesso in altri occhi il tuo morire.
Nascerà l'erba
un giorno
vicino al tuo giaciglio.
Smonta la guardia,
nessuno all'orizzonte.

Sul fiume Okavango

Correrò sola
lungo il delta del fiume
che non si getta in mare.
Se ci ritroveremo,
un giorno,
voglio non sia per caso.
Mi siederò in attesa
sulla sabbia del Kalahari,
e il tuo ricordo
sarà il mio castigo.
Se tornerai,
un giorno
chiamami da lontano,
ascolterò in silenzio
e non sarà per caso.

Ricordo

Cavalcavamo per i Campos Gerais,
sotto una luna che culla le illusioni.
Tu,
occhi screziati d'ambra intrisa d'oro
e due domande che non osi fare,
io,
convinto di poter fermare il tempo
con il candore che si stringe ai fianchi.
Io e te,
sotto le acacie immobili da sempre
persi nel tutto di un respiro solo,
fragile e puro come cristallo.
E tutta intorno la landa sterminata,
terra di sogni addormentati,
che invoca in ogni tempo il piangere del cielo.
Tu ed io,
a raccontarci storie fatte d'aria,
fuori dalla realtà che è un'altra cosa
e ci sorprende senza discolparsi.
E poi io solo
e tu al di là del Sao Francisco,
là dove non posso
e il tormentarsi adesso a nulla serve.
Il cuore di Jagunço che sussulta
cedendo inerme ad un dolore nuovo.
E finalmente
nel Sertao, cade la pioggia.

pelle di luna

Ti stringo in un abbraccio che fa male,
e toglie l'aria all'anima.
Senza parole
il gesto mi condanna,
ed il tuo sguardo amplifica il silenzio.
L'addio febbrile offerto alla tua terra,
si mescola a lamenti dissonanti,
portati via dal vento.
Capelli d'ebano tra i seni
l'unica vanità di donna,
pelle di luna.
Tornerò qui al calar del giorno,
in cerca del mio cuore sporco,
perso nel Lago sacro mille lune fa.
E' tardi per il pianto e passo oltre,
il cielo prodigioso si adombra e piange.

maggio 1999

Dolce Belgrado,
città in fiamme.
Che resterà di te,
dei chioschi colorati e del futuro,
letto sotto un'ardente luna
nei fondi neri di caffè.
Cielo stellato e un'altra bomba,
la dignità strappata dalle mani
e tanti pronti a prendere,
tra le macerie ancora calde,
la loro parte di dolore.
Brucia Belgrado,
rossa di fede e sangue,
ferita a morte nel mese delle rose.
Chi ti calpesta finge il pianto,
simula una virtù che non conosce,
volge lo sguardo là dove non vede.
E passa oltre.

massacre of wounded knee

In una notte di dicembre
spezzato da chi non ha vergogna,
finì il sogno dei semplici
e l'odio colorò di rosso l'acqua.
Un colpo di fucile sparato per errore
uccise l'ufficiale bianco
e mentre la tormenta soffiava neve ovunque,
si scatenò l'inferno nella piana.
I corpi dei guerrieri rimasero composti
là dove si erano accasciati,
mentre senz'armi tra le mani
cercavano invano di fuggire.
Non li salvò la danza degli spiriti,
cantavano e cadevano gli uomini coraggiosi,
le donne insieme ai bimbi e ai vecchi padri
e i tempi del bisonte non tornarono.
Nel secolo allo scorcio,
tra i monti silenziosi del Dakota,
un vento forte spazzò via la neve
e a poco a poco il torrente tornò chiaro.
Resta un cartello verde piantato con i chiodi,
ricordo di quel giorno infame
e una parola resta impressa:massacro.